La proprietà intellettuale e il kibbuz tecnologico

Leggo un articolo della rivista “ Ingegneri del FVG”, in cui si riporta la risoluzione dell’unione europea sul copyright sul software. La causa SAS contro WPL, rea a suo giudizio di aver ‘sfruttato’ le idee originali di SAS ricostruendole ‘all’indietro’ e sfruttandole per realizzare un prodotto concorrente di SPSS, è stata rigettata. Riconoscendo la non applicabilità alle idee del diritto d’autore, e non permettendo la brevettabilità del software, la Corte di Giustizia UE ha di fatto ritenuto più importante il bene collettivo (la circolazione delle idee, il progresso tecnologico) del beneficio al privato.

Una vicenda per diversi aspetti analoga a quella che contrappone i ben più noti Apple e Samsung, Apple e Chrome, e che ha stimolato una riflessione interessante di Luca De Biase su Nova del 2 settembre scorso. De Biase pone il problema nei termini dell’essenza dell’interazione: Apple ha spinto il suo design al limite, eliminando via via ogni elemento ridondante, o inutile, o indiretto, creando forme e modalità di interazione aderenti alla gestualità condivisa dalle culture occidentali. I dispositivi Apple, dice, alla fine sono così perché non potrebbero essere diversi. Sono usabili con questa interazione – l’indicare, lo sfogliare, l’ingrandire e il rimpicciolire – perché questi gesti sono l’interazione naturale.  E quindi chiunque intenda costruire oggetti o interfacce analoghi ai dispositivi  prodotti da Apple non può prescindere dall’implementare interazioni che permettano la naturalità del gesto. Perchè il gesto precede l’iPad. E non è brevettabile.

Tempi interessanti: non solo immaterialità e condivisione, l’evoluzione tecnologica stessa alimenta la necessità di Ri-Definire il concetto di proprietà intellettuale.